
Ogni anno centinaia di giovani chirurghi italiani lasciano il proprio Paese per cercare retribuzioni più alte, migliori condizioni lavorative, contratti più stabili, percorsi di carriera più chiari e un maggiore riconoscimento delle competenze individuali. Francia, Germania, Regno Unito e Svizzera sono le destinazioni più gettonate. Eppure, nonostante le difficoltà, la maggioranza di questi giovani professionisti decide di restare in Italia e investire nel cambiamento del sistema dall’interno. È il caso delle socie e dei soci della SPIGC, la Società Polispecialistica Italiana dei Giovani Chirurghi che da oltre 30 anni si impegna per dare voce, competenze e visibilità a una nuova generazione di medici determinati a costruire un futuro migliore per la sanità italiana. A guidarla oggi è il chirurgo plastico Michele Maruccia classe 1984, Professore associato presso il Dipartimento Medicina di Precisione e Rigenerativa e Jonica (DiMePRe-J) dell’Università di Bari. In vista del congresso nazionale SPIGC 2025 che si terrà a Bari dal 12 al 14 giugno, abbiamo intervistato il Prof. Maruccia per comprendere quali saranno le priorità dei giovani chirurghi in un evento che si preannuncia come una vera e propria palestra di confronto, innovazione e formazione.
Il programma del trentacinquesimo congresso SPIGC sembra puntare molto sul confronto intergenerazionale. Che valore ha oggi lo scambio tra giovani e senior nella formazione clinica?
“È fondamentale. Questo congresso nazionale nasce proprio con la vocazione di creare un ponte tra le generazioni. Quando un chirurgo esperto ascolta davvero le esigenze di un giovane, può adeguare la propria pratica clinica e favorire la crescita professionale del collega. Da anni noi giovani lamentiamo una carenza di formazione adeguata. Il nostro obiettivo è che i senior possano aiutarci a migliorare questo percorso, contribuendo ad innalzare gli standard per i medici in formazione specialistica e per chi si approccia alla clinica”.
Altro tema che salta all’occhio dal programma riguarda l’innovazione: dalla chirurgia robotica alla realtà aumentata, dall’intelligenza artificiale alle nuove tecniche mininvasive. Quanto siamo vicini a una piena integrazione di queste tecnologie in sala operatoria?
“Ci siamo quasi. E questo congresso rappresenta un trampolino tra passato e futuro. L’intelligenza artificiale, ad esempio, è già parte della diagnostica clinica: ci permette di analizzare mammografie o risonanze magnetiche con predizioni di rischio molto precise. Le nuove tecnologie non sostituiranno il medico (almeno nei prossimi anni) ma ci aiuteranno ad essere sempre più precisi. Il ruolo umano resta centrale ma la tecnologia non va demonizzata. Semmai va integrata correttamente nei processi organizzativi. E i giovani sono i principali ‘portatori sani’ di questa innovazione”.
Il congresso è gratuito per gli studenti delle facoltà di Medicina. Questa vocazione inclusiva è una sua scelta?
“E’ una scelta che rientra nei valori della Società. Ed è anche una grande sfida organizzativa per la gestione dei costi congressuali. Ma gli studenti sono i medici di domani e offrire loro uno spazio di orientamento è doveroso, specialmente nel pessimo contesto attuale in cui la Specializzazione a cui avrà accesso un neo laureato dipende dell’imbuto del concorso nazionale. Anche per queste ragioni, il fatto di avere ad oggi 620 studenti iscritti, anche da università lontane da Bari, è per noi un segnale di orgoglio”.
A proposito di studenti, cosa pensa della riforma sul numero chiuso nelle facoltà di medicina?
“Sono assolutamente contrario all’abolizione del numero chiuso. Ho trascorso un periodo come Visiting Professor in Argentina, dove vige il numero aperto e i problemi sono gravi: tassi altissimi di abbandono e neo laureati che non proseguono con la specializzazione. In Italia è importante garantire spazi adeguati e un numero gestibile di studenti per classe, per mantenere alta la qualità della didattica e favorire un rapporto diretto tra docenti e studenti. In un’ottica di lunga visione è fondamentale avere un piano concreto per gestire numeri maggiori senza compromettere l’efficacia dell’insegnamento. È inoltre importante gestire con la massima chiarezza e trasparenza i criteri per il passaggio agli anni successivi, per evitare incertezze e garantire equità. Una buona programmazione può evitare disorganizzazione e tutelare la sostenibilità del percorso di studi in medicina e chirurgia.”
Prof. Maruccia, lei è il direttore della scuola di specializzazione in chirurgia plastica dell’Università di Bari. Sull’attuale gestione degli specializzandi, qual è la sua opinione?
Questi temi saranno approfonditi durante il congresso. È importante riconoscere che ogni intervento sulla formazione post laurea deve tenere conto della crescita professionale dei giovani medici. Le esperienze lavorative introdotte dal Decreto Calabria, se non ben integrate con la formazione, rischiano di rallentare il percorso di crescita e limitare le competenze acquisite. Per formare un medico servono tempo, qualità e un percorso solido. Le scorciatoie possono creare difficoltà sia per i medici in formazione sia per i pazienti. È sempre più urgente lavorare sull’orientamento e sulla valorizzazione delle branche meno scelte, come chirurgia generale o emergenza-urgenza, rivedere il meccanismo del concorso nazionale, affinché riesca a considerare meglio il percorso universitario di ciascuno e favorisca un accesso più coerente con le reali aspirazioni e competenze. Un sistema più equilibrato aiuterebbe a distribuire meglio le risorse e a formare medici più motivati e preparati. Nella mia esperienza internazionale ho occasione di confrontarmi spesso con i colleghi e non possiamo rischiare di perdere il vantaggio competitivo che la nostra formazione ci ha concesso”.
Oltre che per gli studenti, il congresso è gratuito anche per i soci SPIGC. Perché un giovane medico dovrebbe aderire alla vostra società scientifica?
“Le nostre socie e i nostri soci devono avere meno di 40 anni. Il punto di forza della società è l’interdisciplinarietà. Qui dialogano chirurghi generali, plastici, ginecologi, vascolari, ortopedici, cardiochirurghi… In ospedale lavoriamo tutti insieme e il congresso riflette proprio questo modello. È una palestra per condividere esperienze e migliorare insieme. Ed è anche un’opportunità formativa importante, con l’attribuzione di crediti ECM”.
Anche il personale infermieristico rientra in questo modello organizzativo?
“Per noi della Società Polispecialistica Italiana dei Giovani Chirurghi l’infermiere ha un ruolo chiave. Io dico sempre alle mie specializzande e specializzandi: ‘imparate prima di tutto dagli infermieri’. Sono a stretto contatto col paziente, hanno una grande esperienza ed un livello culturale e professionale altissimo. La loro presenza è fondamentale, anche in sala operatoria, dove stanno acquisendo sempre più autorevolezza”.
Ci sono diverse sessioni congressuali dedicate alle donne in chirurgia. È un tema che le sta a cuore?
“Moltissimo. Abbiamo avviato una collaborazione con la Società Women in Surgery che porterà un importante contributo al dibattito. È assurdo che nel 2025 ci siano ancora così poche donne nei comitati direttivi delle Società scientifiche o ai vertici delle Unità operative delle strutture sanitarie. Come SPIGC stiamo cercando di dare il nostro contributo al cambiamento e il nostro prossimo consiglio direttivo, probabilmente, avrà più donne che uomini. Non per una questione di quote… ma solo perché le colleghe hanno dimostrato di meritarlo. Vogliamo dimostrare che il genere non conta, contano le competenze. Fra i giovani non esiste la differenza di genere”.